martedì 15 settembre 2009

I VEGGENTI DEL NUOVO MONDO

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Il collasso del mondo non avvenne dal giorno alla notte, come molti si aspettavano. Accadde lentamente, attraverso gli anni e le generazioni.
Fu come un complicato meccanismo, messo in moto da molteplici fattori; lo scontro tra religioni, l’esaurimento delle risorse energetiche, lo scioglimento dei ghiacciai, il divario tra i ricchi e i poveri e soprattutto l’odio e l’ignoranza accumulata nei secoli.
Giunto al punto di non ritorno, l’uomo decise di farla finita e di premere i pulsanti del suo destino.
Le distruzioni apocalittiche, derivate dall’utilizzo di ogni ordigno disponibile, oltre ad eliminare la maggior parte della popolazione terrestre, innalzarono ulteriormente la temperatura della superficie del pianeta, provocando lo scioglimento dei più grandi ghiacciai.
Le grandi metropoli, già distrutte dalle bombe, vennero sepolte dagli oceani che alzarono il loro livello di parecchi metri.
L’uomo venne spazzato via e la sua cultura moderna s’inabissò con lui.
Pochi sopravvissero, protetti dalle montagne, nascosti alla furia degli eventi.
Ci vollero anni prima che qualche comunità di uomini si riorganizzasse in uno stralcio di società. Piccole tribù, tornate a coltivare la terra e allevare animali, ben intenzionate a rimanere nel loro piccolo guscio e a non ricercare testimonianze della passata catastrofe.
Passarono gli anni e le generazioni, e le storie divennero mito. Il nuovo uomo non voleva sapere da dove proveniva, e rimaneva ben nascosto nelle verdi valli del nuovo mondo, lontano dalle rovine di quello vecchio. E questo era ciò che volevano anche i Veggenti.
I Veggenti erano una comunità di oscuri studiosi, conservatori dell’antica storia del mondo. Alcuni uomini percepirono l’imminente catastrofe, ma non volevano che la cultura dell’umanità si perdesse insieme al resto. Credevano che la testimonianza della loro storia e dei loro sbagli poteva essere la più importante eredità da lasciare ad una nuova possibile umanità. Un eredità necessaria per evitare un’altra futura catastrofe.
All’apice della conoscenza tecnologica, gli uomini potevano conservare in piccoli contenitori milioni di informazioni. Le memorie digitali erano dei veri e propri universi virtuali da esplorare. Le biotecnologie avevano cambiato il livello percettivo degli uomini che sondavano questi supporti. Se infatti un tempo erano dei dispositivi esterni che leggevano quelle memorie, riproducendole poi su uno schermo, si arrivò successivamente a leggerle con la propria mente, attraverso degli amplificatori percettivi inseriti nel cervello. Questo rivoluzionario sistema di lettura del digitale cambiò profondamente la percezione del virtuale. Si parlava di lettura mentale del virtuale.
Alcuni uomini, vissuti per anni leggendo memorie, acquisirono la capacità di entrare dentro queste anche a grandi distanze, e le generazioni a loro seguenti, per un bizzarro mutamento genetico, avevano l’innata capacità di poterle sondare senza alcun intervento al cervello.
Coloro che decisero di preservare la storia del vecchio mondo capirono che per farlo dovevano usare le memorie digitali e far sopravvivere la dinastia di alcune di queste persone capaci di poterle leggere.
Così si costruirono dei rifugi sotterranei, in luoghi segreti e inaccessibili, dentro l’eterna pietra delle più alte montagne, e qui si conservarono gli Scrigni della Conoscenza. A proteggerli vennero messi i Veggenti, coloro che potevano entrare e viaggiare dentro quegli scrigni.
L’ultima alba si accese sul mondo del vecchio uomo, e il sipario d’acqua ricoprì la grande era moderna. L’uomo sarebbe sopravvissuto, nella vergogna del suo passato.

…Ma in uno degli ultimi villaggi sopravvissuti, libero ormai dall’antico vincolo della microcellula familiare, la grande tribù attendeva con fermento la nascita di un nuovo cucciolo…tutti condividevano la paura e la gioia di quel momento, uniti dall’idea di essere “Uomini”, non di essere “parenti”.
Tutta la tribù aspettava quel momento con trepidazione, mentre antiche superstizioni riaffioravano dal passato, come ombre mai morte nella loro coscienza.
Il visionario vestito di piume e di pelli di coccodrillo si avvicinò alla capanna, suonando il suo magico sonaglio: cantava e ballava, come in preda a scosse elettriche e movimenti epilettici, inebriato dalle sostanze che aveva ingerito e bevuto, veleni figli della mutazione e della corruzione della natura…
Frutti che estendono la percezione, dal succo tossico e allucinogeno.
“OIE!ORANE’! GARANAH! PUATIE!” Urlava il vecchio, mentre la tribù seguiva muta la sua danza circolare. Le sue parole non significavano nulla in senso stretto, nulla a che fare con la logica, con il principio del terzo escluso o del principio di identità: frasi extralogiche, sparate dall’inconscio, sature di emozioni e di significato per una mente sensibile al cuore.
Un avvertimento, un monito per gli spiriti invisibili che scuotono la terra: “VIA! VIA!” sembrava urlare lo shamano “LASCIATELO STARE! VIA!”
E la danza continuava, accompagnata dal suono di pelli stese, battute con violenza dai percussionisti.
Il grido della donna squarciò la notte, sembrò smuovere le fiaccole fuori dalla tenda:
nessun pianto liberatorio…
Il terrore invase la tribù.
Da anni non vedevano un neonato, sano, intendo. La fossa di Rulakh, il crepaccio dove i bimbi nati deformi venivano gettati poco dopo la nascita, sembrava gemere affamato. Lo shamano gettò il suo sonaglio, entrò nella tenda, e la folla iniziò a mormorare come milioni di mosche.
Un altro fallimento?
Un altra maledizione?
Ma avvenne il miracolo, quell’evento straordinario che stupisce e incute timore, simbolo della nostra precarietà, della nostra incapacità di capire il mondo nelle sue intime leggi.
Il bambino crebbe sano e forte, imparò da Ughish a catturare i pesci-lampreda con l’aiuto dell’arpione, a sventrarli e cucinarli, imparò da Emre come si caccia con l’arco e come si scuoiano le prede per fabbricare indumenti, da Rutha apprese l’arte del canto, migliorò le sue doti di ballerino grazie ai consigli di Bomak, ma ciò che più lo stupiva, e che lo impauriva a volte, era il vecchio shamano Ghota.
Non parlava mai, soltanto nelle sue invocazioni e preghiere era possibile udire la sua voce,
il suo voto del silenzio poteva esser rotto solo allora, o gli spiriti gli sarebbero entrati dalla gola per afferrargli il cuore.
Ben presto il bambino crebbe, dopo 100 cicli lunari venne il momento dell’investitura: stava per ricevere il NOME.
Il ragazzo visse la preparazione a quell’evento con trepidazione e terrore: le donne lo lavarono e vestirono con le vesti rosse, intrecciarono i suoi capelli e tagliarono il suo codino, chiudendolo in una sacca.
Dipinsero il suo volto con il segno dell’UOMO e lo baciarono in bocca e sulla fronte, come per salutarlo, per dire addio alla sua infanzia.
In un modo orribile e pericoloso non vi era posto per il gioco, e l’uomo senza ancora un nome lo avrebbe presto imparato a sue spese. Le tende si aprirono, i tamburi vibrarono in un ritmo incessante, per arrestarsi di colpo al suo arrivo: era il momento.
Gotha era molto invecchiato, la sua curva andatura somigliava al moto di una goffa tartaruga piumata, difesa dal suo guscio di scaglie e adornata da mille sgargianti colori. Il vecchio agitò nell’aria il suo magico sonaglio, tutta la tribù si distese con il volto a terra, in un silenzio assordante. Impose le mani sulla fronte del giovane, spalancò la bocca per pronunciare il nome ricevuto dalle sue visioni la notte prima.
Ma il proiettile ad alta penetrazione mozzò la voce del vecchio in un grido soffocato, il petto esplose inondando di sangue il raggiante piumaggio. Gli uomini neri discesero dal cielo, mentre i draghi di acciaio comparivano come lampi oscuri da dietro le colline, affamati, spietati, imbattibili. Ovunque il rombo delle loro ali, dappertutto pioveva piombo mortale.
Presto le capanne arsero di fuoco chimico, la polvere cadde e si incendiò, uccidendo Rutha, Ughish, Bomak, Emre e tutti i suoi fratelli.
Ma lui sopravvisse. Inspiegabilmente, come un altro, prepotente miracolo, la sua vita non fu recisa quella notte. Non era ancora il momento, forse la morte non accetta anime senza nome, deve chiamarle per compiere il suo lavoro, e lui non ne possedeva ancora nessuno…
L’uomo che non aveva ancora un nome riuscì a fuggire, piangendo per giorni, maledicendo il cielo e gli uomini neri che gli avevano rubato tutto, anche il suo nome. Ma che non potevano sottrarli ciò che più lo rendeva Uomo.
La sua capacità di chiedersi “PERCHE’” la sua tribù fu sterminata.
“PERCHE’” gli uomini neri scesero dal cielo quella notte, la sua notte, per rubargli il nome.
“PERCHE’?” Tuonava nella sua testa, mentre la rabbia gli annebbiava la vista.
“PERCHE’?”

«Squadra d’assalto Manticora a rapporto, Signore.»
Il veggente oscuro rimase seduto sull’ampia poltrona di pelle, senza neanche voltarsi… Il fumo del sigaro vorticava nell’aria annodandosi, estendendosi, per poi contrarsi ancora, come un serpente sinuoso e spettrale:
«Avete raggiunto il bersaglio?»
«Raggiunto e Ripulito, Signore…»
Il Generale si voltò, ruotando lentamente la poltrona. I suoi innesti oculari brillavano nella sala, il freddo rumore dello zoom ottico squarciava l’aria.
Inquadrò le pupille del soldato, osservò ogni loro dilatazione o variazione, misurò con attenzione la tensione delle labbra, ogni segnale veniva registrato e confrontato con gli schemi emozionali installati.
«Avete prelevato il soggetto?»
I fotoricettori del generale segnalarono una variazione di 1.4 punti nelle pupille del soldato. Aspirò di nuovo il sigaro, per dare vita ad un nuovo miraggio di fumo.
«Non è stato possibile, signore, il soggett…»
Il generale lasciò cadere il sigaro, la moquette a scacchi bianchi e neri iniziò a crepitare debolmente.
Il Soldato deglutì debolmente, mentre l’uomo seduto si alzò, rivelando la sua immensa statura, frutto dell’esoscheletro al titanio vulcanizzato marcato Biotrust, un gioiello della bio-ingegneria post moderna: doppio polmone rivestito in sintederma a prova di PNX, fegato potenziato, apparato digerente agli acidi naturali, valvola cardiaca con triplo sistema di controllo del pompaggio, ed ogni altra futuristica protesi per estendere l’aspettativa di vita erano stati impiantati nella struttura portante, una cassaforte ossea inattaccabile, un oggetto unico ormai, un artefatto del passato irripetibile, un armatura sottopelle con sistema di manutenzione automatico a 64 cellule di nanochirurghi.
«Il soggetto…»
Tentò di continuare il soldato, ma il generale lo zittì con un gesto secco della mano.
«Riorganizza la tua squadra, arma i flyer, localizza il soggetto e portamelo VIVO.»
Il soldato non aggiunse niente, la fortuna lo aveva baciato, nessuna punizione o condanna,
un nuovo ordine, soltanto un nuovo ordine…
Quando si voltò, il sorriso ebete sul suo volto mutò in una smorfia di sgomento: l’ordine non era diretto a lui, ma al tenente Genkis, l’uomo che era entrato silenziosamente nel bunker come un predatore assassino.
Il generale sparò alla schiena del soldato con una vecchia calibro 12 da collezione, proiettile in oro, testa limata: il foro d’uscita sembrava un oblò di un sottomarino.
Sprizzi di sangue sintetico, pregno di droghe da combattimento e residui di stimolanti, macchiarono la cravatta del tenente Genkis, che osservò la scena senza batter ciglio.
«Ordine ricevuto, Generale. Non la deluderò…»
La moquette stava ormai bruciando, ma nel giro di pochi istanti, i nanorobot che componevano il tessuto si ridisposero nella stanza, questa volta formando un intreccio simmetrico di rombi e triangoli: isolarono le nanofibre danneggiate e le sostituirono con delle nuove.
Genkis uscì di fretta dal bunker, mentre un altro esercito di nanorobot iniziava il lavoro di ripulitura della stanza….
Il generale si adagiò sulla poltrona, reclinò lo schienale ed estrasse un altro sigaro maleodorante. Sul vecchio pacchetto la scritta -il fumo provoca il cancro-
“Non a me…” Disse fra se e se il Generale, mentre il doppio polmone si ripuliva da solo dal catrame residuo…
“Siamo noi il cancro del mondo.”
Si era messo a parlare da solo circa sei mesi fa: ogni volta che era sicuro di non essere ascoltato da nessuno commentava ad alta voce, ma non per parlare, per ASCOLTARE il suono di una voce che non lo chiamasse -signore- che non provasse paura o timore nei suoi confronti.
Quanto tempo era passato dall’ultima conversazione informale?
Non ricordava più il suono di una risata, il calore di una stretta di mano, una domanda, nulla di tutto ciò era presente nella sua memoria: soltanto ordini, direttive, comandi.
Ogni conversazione che ricordava era di tipo gerarchico: non parlava CON le persone, parlava ALLE persone, da una posizione di potere dove gli era concesso tutto, dove LUI era la verità dei fatti.
“Io sono un Dio… e un Dio non si ammala di cancro…”
Accese il sigaro e sospirò
“Si ammala di solitudine.”
Ma i rombi dei Flyer lo distrassero dai suoi pensieri, i reattori all’iridio fecero vibrare le pareti del bunker, come un piccolo sisma.
“Dove sarai adesso?”
Inspirò una lunga tirata, ed il sigaro brillò come un tizzone.
“DOVE?”

«SONO QUA!»
Per un istante il Generale credette che la voce prevenisse da qualche parte dentro la stanza. Invece era nella sua testa, in una diramazione sintetica del sistema percettivo. Era la voce di un ragazzo, squillante e nitida.
L’attacco lo aveva colto alla sprovvista, ma innalzò immediatamente un schermo protettivo. Erano anni che non ne faceva uso, ma riuscì velocemente a partizionare la mente, in modo che una porzione di questa non fosse accessibile da agenti esterni. Con quella avrebbe ragionato senza paura di poter dare un vantaggio al suo interlocutore mentale.
«Hai fatto presto a trovarmi» rispose il Generale, seguendo le onde cerebrali che lo avevano contattato ed entrando nella mente dell’intruso. Era come addentrarsi in una foresta vergine, un intricato universo di domande.
«Perché?» La testa del ragazzo urlava quella parola. Il Generale avvertì una pulsazione intensa all’altezza della tempia destra, una leggera fitta che lo sorprese.
Il contatto confermava i suoi timori, e dava un senso all’attacco portato a termine dai suoi uomini. Purtroppo non erano riusciti nel loro compito, e le conseguenze di questo fallimento potevano essere devastanti. Gli Scrigni della Conoscenza erano adesso alla portata di un quel giovane, e la loro lettura poteva corrompere le nuove generazioni.
Ciò che lo stupiva era la forza di quella proiezione mentale, l’intensità della sua “voce”, il controllo innato, la fisicità. Le menti potevano leggere, ma c’era chi raccontava storie di uomini capaci di manipolare la struttura attraverso il pensiero. Quelle storie le aveva sempre considerate leggende. Eppure il ragazzo lo aveva “punto”…
«Perché avete sterminato la mia tribù?»
Il pensiero era pregno di un pianto di dolore. Questa volta la “puntura” non arrivò alla fronte ma da qualche parte nel petto. La valvola cardiaca interruppe per un attimo la sua funzione di pompaggio. Il Generale si senti vacillare.
«Ragazzo, tu non capisci…»
Ma la frase si spezzò in un urlo. Un dolore lancinante come di carne lacerata gli esplose all’altezza dell’addome. Il Generale si piegò in due sulla poltrona girevole.
«Cosa non devo capire? Mi avete tolto tutto, anche il mio nome…»
“Pratiche tribali”, pensò il veggente con la parte schermata della sua mente. Ma si accorse che il ragazzo era riuscito a penetrarla, come luce che, filtrando in una camera oscura, rovina la pellicola. Si sentì sotto scacco ma non avrebbe mollato la presa. Forse quella era la loro unica possibilità di ritrovare il fuggitivo. No, non avrebbe azionato lo scudo mentale. Non ancora.
Come risposta ebbe una scarica elettrica che lo trapassò in verticale come un fulmine caduto da cielo. La potenza cerebrale del ragazzo era davvero notevole. Trovare le frequenze giuste per accedere alle banche dati sarebbe stato uno scherzo per un talento del genere.
«Quali banche dati? Cosa significa?»
Ci era cascato, maledizione. Aveva ormai completo accesso alla sua mente. Doveva alzare lo scudo…
«Cosa succede…» La voce del Generale era un sottile brusio. Dagli innesti oculari incominciò a sgorgare del liquido scuro che poteva essere un cocktail letale di sangue, olio lubrificante e materia grigia. Il suo corpo era completamente immobilizzato alla sedia. La mente era una stanza con porte e finestre spalancate, ma lui non poteva accederci.
Si sentì svuotare velocemente. I suoi pensieri, le sue conoscenze, le sue paure. Tutto fuoriuscì dalla sua testa, immagini mentali che, convertite in impulsi binari, viaggiavano attraverso l’etere alla velocità della luce.
Prima che l’oblio scendesse definitivamente sui suoi occhi, il veggente riuscì a formulare un ultimo pensiero. “Tutto stava per ricominciare!” Poi anche questa immagine fu trasformata in codici proiettati nello spazio.
Lo trovarono poco dopo due soldati. Il corpo ricadeva sulla poltrona come un sacco di stracci da lavare, gli occhi si aprivano a chiudevano come se gli innesti avessero subito un corto, mentre il liquido continuava a sgorgare macchiandogli gli zigomi. Lo sguardo dei due soldati si soffermò per un attimo sulla bocca del Generale che accennava un mezzo sorriso.
«Lo hanno svuotato.» disse uno.
«Avvertiamo Genkis!» rispose quell’altro.
Sulla moquette intanto i nanorobot continuavano le loro assurde pulizie.

Grezzo Illusivo - 2007

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