lunedì 20 settembre 2010

IL PRESAGIO DEL NERO OCCHIO


























L’oceano ed il cielo si fondevano in un orizzonte vago, tra gli ocra e gli indachi del vespro. La notte avanzava rivelando la magia della volta celeste, le canzoni delle stelle, le sinfonie delle galassie. Erano musiche che solo pochi riuscivano a sentire. Astromanti erano chiamati, e la gente normale li credeva stregoni e fattucchieri, portatori di speranza e di guai. Ma il mondo era troppo vecchio perché qualcuno potesse riuscire ad estirpare le paure del genere umano, radicate dentro secoli di guerre e di dolore. Il mondo era così vecchio che si era perso il conto degli anni. Si diceva che gli uomini erano morti e rinati più volte, che in un tempo indefinito il cielo era esploso sopra le più grandi città e ogni uomo era stato spazzato via, fuorché per una manciata di fortunati, o sfortunati, che erano riusciti a trovare rifugio nelle viscere della terra. Passarono molti anni prima che l’umanità tornasse ad abitare la superficie del pianeta, e la gioia di rivedere il sole e la volta stellata fu così tanta, che quegl’uomini dedicarono ogni loro energia a contemplare l’universo e a carpirne i segreti.
Ma sono molte le storie che riguardano gli Astromanti. Meno invece quelle che descrivono i loro più grandi rivali, gli Entropici. Anche quest’ultimi studiavano le stelle e attingevano potere dal cielo, ma non si fermarono alla conoscenza della materia e dell’antimateria, come invece fecero i primi. Affascinati dal concetto di caducità, studiarono il pulviscolo del cosmo e cospirarono l’accelerazione del tempo, così da far chiudere questo universo e dare modo a qualcosa, al di là del tempo e dello spazio, di riformarne uno nuovo, più giusto.
Gli Entropici erano convinti che gli uomini fossero creature imperfette, prigioniere di un universo imperfetto. Solo attraverso la chiusura del tempo l’uomo sarebbe rinato in una forma divina, in armonia con il tutto. L’apocalisse che avrebbe segnato l’avvento della nuova era veniva chiamata il Grande Collasso.
A questo pensava il giovane Braman, mentre contemplava il mare dall’alto del faro. Si era quasi scordato di accendere la luce di segnalazione. Era l’unico lavoro che gli spettava. Per il resto il suo apprendistato era essenzialmente fatto di studio e osservazione.
La scuola del faro non poteva davvero dirsi una scuola. Era composta da appena tre alunni più il maestro, un vecchio di nome Karmantic, cieco da un occhio eppure zoppo. Il maestro era un tipo strano, cresciuto in mezzo ai marinai del paese vicino, ed era lui stesso stato un marinaio quando era giovane. Ma il richiamo delle stelle fu tale che all’età di vent’anni partì alla volta di Avredon, una delle Dieci Città, per conoscere i misteri del cosmo e praticare la magia. Dopo la prima guerra contro gli Entropici Karmantic tornò al suo paese e divenne il guardiano del faro, fondò la piccola scuola per Astromanti e insegnò la magia delle stelle ai nuovi talenti della penisola meridionale del continente, una regione gibbosa e poco conosciuta che la gente delle Dieci Città chiamava “La Punta”.
La notte era infine sopraggiunta. I pensieri che vorticavano nella testa del giovane mago gli avevano fatto perdere il senso del tempo. Sentiva dabbasso i suoi due compagni prepararsi per l’abituale osservazione. Ogni sera insieme al maestro si recavano sulle vicine colline per contemplare la via lattea e ascoltare il canto delle nebulose. Doveva affrettarsi, altrimenti avrebbero fatto tardi e la luna sarebbe sorta, oscurando con la sua luce riflessa molti degli astri più interessanti osservabili in quel periodo dell’anno.
Ma proprio mentre voltava le spalle al mare e si accingeva a lasciare la terrazza del faro, una musica lontana, un clangore metallico sormontato da note talmente basse da non potersi quasi udire, lo trattenne. Alzò lo sguardo ma non riuscì a vedere niente, perché la luce di segnalazione era talmente forte che gli occhi potevano appena distinguere gli astri più luminosi.
C’era qualcosa di strano e sbagliato in quella musica. Braman aveva ascoltato molti canti del cielo, e mai si era imbattuto in suoni così aggressivi. Pensò di parlarne subito al maestro, ed era sul punto di scendere le scale, quando pensò che se quel suono fosse scomparso non sarebbe mai riuscito a capire da quale astro del cielo proveniva. Sapeva che era una cosa pericolosa che non avrebbe mai dovuto fare, ma qualcosa gli diceva che quella canzone nascondeva un pericolo molto più grande. E così smorzò la luce di segnalazione e in pochi secondi il faro si spense, richiamando l’oscurità attorno alla torre e alle scogliere del porto.
Gli occhi del giovane dovevano abituarsi al buio, ma non aveva molto tempo a disposizione. Qualcuno in paese stava già lamentandosi del faro che si era improvvisamente spento. Braman rimase con l’orecchio attaccato a quella canzone del cosmo, temendo di perderla.
Poi udì qualcuno sopraggiungere. Era il maestro, che saliva le scale aiutandosi con un bastone e domandava adirato spiegazioni. Ma Braman non poteva rispondergli. Doveva rimanere attaccato a quel suono, e poi cercare la sua fonte tra i miliardi di puntini luminosi che lentamente si rivelavano alle sue strette pupille accecate dalla troppa luce. Attinse alle poche conoscenze da Astromante che aveva a disposizione, chiuse gli occhi e seguì la fonte di quella musica, e quando si sentì chiamare da un preciso punto nel cosmo infinito, aprì le palpebre e proiettò la vista nell’abisso.
Il maestro apparve sul ciglio delle scale.
«Maestro Karmantic, laggiù! Che cosa c’è?» domandò il ragazzo col volto stranito. All’Astromante bastò uno sguardo, nella penombra della terrazza, per capire che Braman aveva udito un segnale.
«Il Nero Occhio… che cosa hai sentito, ragazzo?» La voce del vecchio era un sussurro carico tensione.
«Clangori metallici e un coro di voci basse…»
«La Sinfonia del Cattivo Presagio… mio dio… » Adesso anche il volto del maestro era diventato una maschera di apprensione.
«Che cosa significa?»
«Ragazzo, se hai davvero sentito quella sinfonia provenire dalle remote magioni del Nero Occhio, può significare una sola cosa; una nuova guerra è prossima…»
«Gli Entropici?»
«Si. Dobbiamo avvertire gli altri.»
Fu quello l’inizio del secondo terribile conflitto tra Astromanti ed Entropici, e solo per miracolo i secondi non riuscirono a portare a termine i loro piani. Numerosi Astromanti perirono e le scuole di magia rimasero chiuse per un’intera decade.
Molti anni dopo Braman tornò al faro. Nel frattempo era diventato uno dei più potenti maghi delle terre dal Grande Mare alla Breccia. Karmantic era morto e anche i suoi due compagni erano periti durante l’orribile guerra.
Rimase ad osservare il mare per diversi mesi, cercando di guarire la mente lesionata dalle atrocità viste durante la guerra. Non seppe perché era tornato fino al giorno in cui un bambino si presentò al suo cospetto. Avrà avuto non più di dieci anni, e due occhi profondi quanto lo spazio infinito.
«La notte in sogno le stelle mi vengono a trovare…» gli disse.
«Vieni, ragazzo. T’insegnerò a parlare con loro.»
Quel giorno Braman capì perché era tornato alla scuola del faro. Gli Entropici erano stati sconfitti ma non distrutti. Un giorno sarebbero tornati e alle nuove generazioni di Astromanti sarebbe toccato il compito di difendere le Dieci Città. Il suo dovere era quello di preparare i nuovi talenti, incominciando da quel piccolo sognatore di stelle.
«Come ti chiami?»
«Tielsin, signore.»
«Bel nome…»
«Grazie.»
E così si chiuse l´ennesimo cerchio di conoscenza.