martedì 30 marzo 2010

EVOCAZIONI PERVERSE

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Gridia era una di quelle città tagliate fuori dalle grandi strade mercantili dell’Impero, sorta secoli fa in un territorio aspro, appollaiata alle rocce come un falco di montagna. Era il luogo ideale per portare avanti subdoli giochi di potere, lontano dagli occhi indiscreti della Guardia Reale.
Sulle case e i palazzi decadenti dominava la cupola della chiesa, l’occhio vigile che tutto vede e tutto giudica. Il vescovo Callalni e suoi due vicari erano diventati col tempo gli uomini più importanti della città, e la delegazione dell’esercito dell’Impero sul posto rispondeva ai loro ordini.
Udrien, appena mosse un passo oltre le mura di città, avvertì subito nell’aria quell’oppressione tipica di quei luoghi in cui la chiesa ostenta il suo dominio. Storse la bocca quando, entrando nella piazza principale, che si apriva proprio davanti alla cattedrale, rinvenì le tracce di un rogo recente. Bruciare le streghe era una delle pratiche preferite dei preti.
Entrò in una locanda e ordinò dello stufato e della birra. Gli avventori erano pochi e se ne stavano in disparte, ma si sentì i loro sguardi addosso. Non poteva certo pretendere di passare inosservato, con la montagna di muscoli che si portava dietro e che non si vergognava ad esibire, e la sua vistosa spada che lui chiamava Gilda. Ci era abituato e li ignorò, prendendo posto vicino a una finestra e osservando le incombenti vetrate della chiesa, che nelle ombre del vespro baluginavano dei riflessi delle candele. Qualcosa nel profondo gli sussurrava che un male ancora più grande del dogma religioso aveva messo radici nella città di Gridia.
Mangiò e bevve, ma non osò andare oltre i limiti. Aveva intenzione di lasciare quel posto all’indomani, e mettere più strada possibile tra lui e i misfatti che vi consumavano. Chiese una stanza e si ritirò, ma il fato volle che la finestra della sua camera desse proprio sulla facciata della chiesa. Rimase ad osservarla tra le ombre della notte. Quando la città, già di per se silenziosa, sprofondò nella quiete notturna, Udrien avvertì la cantilena. Ne conosceva il timbro, anche se ignorava il significato delle parole. Quello non era un canto religioso, ma il rituale di un’evocazione blasfema. Non riusciva a prendere sonno. La nenia era appena percettibile, ma s’insinuava nell’anima, evocando strani incubi. A Udrien non piaceva essere disturbato. Afferrò Gilda e uscì fuori dalla taverna, puntando direttamente verso l’ingresso della cattedrale. Spinse con forza e quando la massiccia porta si mosse sui cardini rimase sorpreso. Probabilmente i cittadini temevano a tal punto quel luogo, che i preti non si preoccupavano di chiuderlo a chiave neanche la notte.
La navata centrale era disseminata di ombre, ma i sensi di Udrien lo avvertirono che nessuno lo stava spiando. Attraversò ad ampie falcate il locale fino alle porte che si aprivano sul retro. La litania continuava e sembrava provenire dalle catacombe.
Scostò l’uscio di una porticina che si apriva su un balcone di pietra e delle scale a chiocciola che sprofondavano nell’oscurità. C’era profumo d’incenso nell’aria, ma non quello che usavano i preti durante i sermoni. Aveva un odore stucchevole, stranamente esotico. Udrien arricciò il naso e proseguì, permettendo all’oscurità di ingoiarlo. Il guerriero poteva muoversi al buio come un gatto, attingendo ai sensi dimenticati, quelli sotto pelle, quelli che un vero uomo d’arme ha bisogno di conoscere se vuole rimanere vivo.
La scala contava ventitre gradini. Toccato il fondo Udrien scorse i contorni di una porta, oltre la quale bruciava una luce calda, forse una torcia. Il canto adesso era distinguibile in tutto il suo orrore: era il richiamo di un demone. Il guerriero ne aveva uditi di simili, nei suoi pellegrinaggi attraverso le terre di confine, luoghi impervi in cui abitavano culture molte più antiche di quelle dell’impero.
Nel momento in cui appoggiò la mano sulla maniglia, il canto si interruppe e il pavimento tremò. Udrien capì allora che l’invocazione era stata portata a termine, e qualcuno o qualcosa aveva attraversato il drappo tra i mondi, per giungere al cospetto dell’evocatore. Aprì piano la porta e si catapultò con la leggiadrezza di un felino dentro un corridoio appena illuminato. La luce proveniva dalla stanza che si apriva dopo pochi passi. Udrien vi sbirciò all’interno, appiattendosi al muro del corridoio, e quello che vide lo tormentò per molte notti.
Tre uomini seduti su alti scranni, nudi e glabri, osservavano la scena che si teneva sulla fredda pietra del pavimento, dentro cerchi e simboli di gesso dai misteriosi significati. Nei loro occhi si rifletteva la luce rossa di due enormi bracieri che bruciavano ai lati della stanza. Era da lì che s’innalzava il profumo d’incenso. Tutti e tre gli uomini erano intenti a darsi piacere solleticando i loro i membri, ispirati dalla visione che avevano appena evocato.
Una fanciulla di rara bellezza giaceva riversa sul pavimento, e un essere contorto e peloso, dalla forma vagamente umanoide ma con la testa sproporzionata e una gobba gigantesca sulla schiena, le stava sopra. Udrien poté vederne il pene, enorme e rosso, che si apprestava a dilaniare la povera vittima. La ragazza era viva e cosciente, ma incapace di emettere grida, forse incantata da strani sortilegi, oppure troppo terrorizzata per ricordarsi di possedere una voce.
Era questa la follia che si nascondeva dietro le mura di Gridia. Preti perversi che avevano stipulato patti coi demoni, rituali erotici sotto la cattedrale, e sacrifici pubblici per terrorizzare i cittadini. Quante città erano vittime delle superstizioni e della bramosia di potere dei religiosi? Quante persone pagavano il prezzo della loro ignoranza? Udrien sentì la furia crescere come un fiume in piena, la lasciò defluire nei sui muscoli e poi abbandonò il suo nascondiglio, scagliandosi con la spada alzata incontro a quello scenario di follia.
Prima che i preti realizzassero quello stava succedendo, il guerriero riuscì ad afferrare il braccio della fanciulla e a trascinarla fuori dal cerchio di protezione. Il demone era prigioniero dei simboli di gesso, e non gli era permesso di attraversarli.
Poi si mosse verso gli scranni. Recise la testa di un prete mentre questi provava ad alzarsi, trafisse il secondo alla schiena, mentre cercava di scappare, e il terzo, immobile e stupefatto, era invece rimasto seduto, col pene gonfio e gli occhi sbarrati. Udrien lo sollevò con una sola mano e lo scagliò dentro il cerchio del demone. Fu allora che incominciarono le urla, ma prima che le guardie trovassero il coraggio di investigare, Udrien era già lontano.
La ragazza aveva insistito per andare via con lui, e così erano scappati nella notte, mentre le urla del prete sfumavano tra le ombre, e le luci di Gridia si perdevano nella distanza. Camminarono fino al mattino e da un’altura videro l’alba, fulgida e bellissima. Lui guardò lei e si perse per un attimo nei suoi occhi.
«Dove vuoi andare?» le chiese.
«Lontano…» sussurrò lei. E da quel giorno non si fermarono più.

GM Willo 2009