mercoledì 9 dicembre 2009

EREDITÁ SEGRETA

Ereditá segreta

Tullia si lasciò cadere dallo scivolo, col sole in faccia che le rubava il sorriso. Atterrò sulla sabbia e si rialzò in piedi di scatto, perché la sua amica Chiara stava venendo giù. Ebbe una breve sensazione di vertigine e avvertì qualcosa di caldo e bagnato. Il primo pensiero, il più imbarazzante, fu che si era fatta la pipì addosso. Ma c’era qualcosa di strano…
Allungò le dita sotto la gonnellina di fiori, sfiorando una patina umida che ricopriva le mutandine. Quando si guardò i polpastrelli trattenne un urlo e scappò via. Le amiche erano troppo sorprese per correrle dietro.
Sua madre l’aveva avvertita che sarebbe successo. Ormai aveva dodici anni compiuti, e le ragazze a quell’età diventavano donne, o almeno così si diceva dalle sue parti. A Chiara ad esempio erano venute un mese prima, ed era stata una mezza tragedia. A scuola si era data per malata, e ai giardini non si era vista per una settimana. Quando Tullia la rivide sembrava davvero cambiata. Che strano che era il corpo delle ragazze, aveva pensato.
E adesso succedeva a lei. Doveva tornare subito a casa, ma non dire niente al papà e alla mamma, perché quella situazione era davvero imbarazzante. Glielo avrebbe detto con calma, magari a cena, o meglio domani.
Entrò in casa dalla porta sul retro, quella che dava sul giardino, salutò veloce la madre che era impegnata col piccolo Luca, salì le scale tre alla volta e si infilò nel bagno. La doccia avrebbe gettato troppi sospetti sul suo rientro inaspettato, così optò per il bidè. Si sfilò le mutandine e le gettò lontano, poi si sedette sopra l’acqua e incominciò a pulirsi. Voleva vedere meno sangue possibile, non perché le facesse impressione, figuriamoci, ma perché la faceva sentire sporca.
La sua testa lavorava a cento all’ora. Doveva trovare quei pannolini che usava la mamma, afferrarne uno al volo e poi schizzare veloce in camera da letto per cambiarsi. Suo padre era a lavoro e non sarebbe tornato fino alla ora di cena. La madre la chiamò un paio di volte da basso, ma lei era stata veloce a risponderle con naturalezza che doveva urgentemente usare il bagno, il che non era proprio una bugia.
Il problema più grosso erano le mutandine, che senza neanche degnare loro di un’occhiata aveva scaraventato oltre il bordo della vasca da bagno. Giacevano laggiù, piene di sangue, ad imbrattare la ceramica tirata a lucido dalla madre. Le avrebbe sciacquate velocemente nella vasca e poi nascoste da qualche parte.
Si riscosse da quei pensieri. Quanti minuti erano passati, uno, dieci, cento? L’acqua del bidè continuava a lambirle le parti intime. Poteva bastare, pensò, e chiuse il rubinetto. Si asciugò con della carta igienica per non lasciare tracce e finalmente si alzò in piedi. Adesso le mutandine, pensò…
Si avvicinò alla vasca da bagno, gettò lo sguardo oltre il bordo, e vide esattamente quello che si era aspettata, ma non proprio…
“Che caspita significa?” sussurrò la ragazza appena fatta donna.
Non era la prima volta che vedeva il sangue, però quello era diverso. Glielo aveva accennato la mamma, e Chiara le aveva detto infatti era molto più scuro, quasi marrone. Ma ciò che vedeva nella vasca era ben altro.
Quando poco prima si era guardata le mani non ci aveva fatto caso. Il sole abbagliante le aveva giocato uno scherzo, o forse era stata la sua testa, fatto sta che aveva dato per scontato che fosse rosso. Invece…