martedì 5 gennaio 2010

JERAMIAHL

Jaramiahl

I

Nell’oscurità della sua camera da letto, Jeramiahl era tormentato da pensieri proibiti. Il vento freddo della notte penetrava nelle fessure della finestra, e come una veloce armonia faceva danzare le candele del candelabro sul tavolo. Seguendo le fiammelle, le ombre si univano alla giga, tormentando le fredde pareti della torre.
Dalla buia foresta, musiche spettrali permeavano l’aria attorno alla costruzione di pietra. Melodie proibite, che avrebbero raggelato il cuore di ogni mortale, ma che per il vecchio Jeramiahl volevano dire ben poco. Non esisteva la paura nell’animo del grande Maestro. Ma esisteva qualcosa che avrebbe inclinato la sua sicurezza. Il fato di un uomo può nascondere meschine sorprese, ma quando viene rivelato niente e nessuno è in grado di fermarlo.
Come la luna nel cielo segue il sole d’appresso, così la paura segue il mistero nelle profonde lande della notte.
Ancora immerso nell’assordante silenzio prodotto dalle sue droghe, Jeramiahl incominciò la sua lunga scalata che lo avrebbe riportato al suo insipido stato di normalità. La prima cosa che udì fu il vento che irrompeva sul fianco della montagna, nella foresta attorno alla torre. Poi, quasi non credendo ai suoi stessi orecchi, sentì qualcos’altro. Non era un gioco del vento e neanche il lontano lamento di un animale, ma sembrava a tutti gli effetti una chiamata.
Lottando contro l’effetto ancora attivo del veleno stordente, Jeramiahl mosse lentamente la sua mente verso quel suono, aguzzando al massimo il suoi sensi. Si accorse che il vento sembrava essere spezzato dalla voce di un uomo.
“Fiuuuuu... ahl! Jer… Fiuuuuuu… amiahl! Fiuuu…”
La curiosità è un’arma efficace contro il desiderio di rimanere stordito, perciò, con le ultime forze del suo dolente corpo, il vecchio mosse lenti passi verso la grande finestra. Aveva bisogno di sapere se quella chiamata era reale, oppure se era uscita da una delle sue abituali allucinazioni.
Il tempo con cui Jeramiahl raggiunse il bordo della finestra non aveva alcun senso per lui. Poteva essersi trattato di un minuto come di un secolo. Ciò che invece lo impressionò fu quello che vide. Un uomo chiamava il suo nome davanti all’entrata della torre. Un uomo! Quanto tempo era passato da quando i suoi occhi grigi avevano visto per l’ultima volta un uomo? Ricordi impossibili da riportare alla luce in quello stato di torpore artificiale.
Una sfida era giunta davanti alla porta della torre, ma sapeva già che non l’avrebbe accettata! Schermò ogni suo desiderio di conoscenza, deviò la mente lontano dalla curiosità, lasciando fare il resto alle sostanze in circolo nel corpo. Stava già per tornarsene al suo giaciglio quando quella voce, così colma di disperazione, lo fece fermare. Era il suo nome, invocato con decisione e audacia. L’uomo continuava a ripeterlo instancabilmente. Neanche il vento riusciva più a nasconderlo. Sembrava musicarlo, come quando un bardo accompagna con il liuto le parole di un’antica ballata.
“Fiuuuuu... ahl! Jer… Fiuuuuuu… amiahl! Fiuuu… Jeramiahl!”
Tormentato dal desiderio di fondersi con le ombre della notte, il vecchio Maestro si trascinò verso la porta. Vincendo il buio con la luce del candelabro, Jeramiahl scese lentamente le tortuose scale della torre. Attinse ad ogni risorsa fisica che gli rimaneva per evitare di scivolare. Richiamò la forza che da tempo lo aveva abbandonato. La droga, sovrana di ogni vena, se lo stava lentamente divorando.
Allo stremo delle sue forze, appena prima di abbandonarsi sul gelido pavimento, Jeramiahl riuscì a girare il chiavistello d’entrata, accettando di abbracciare il suo destino.
Ed il vento che penetrò nella torre, precedette il misterioso straniero.

II

Nel sogno la sua mente vagava senza meta, seguendo correnti irresistibili, mentre una musica soave lo accompagnava attraverso un impossibile viaggio. Si sentiva galleggiare sulla melodia. Ma l’improvviso avvicinarsi di una luce abbagliante smorzò la musica che l’avvolgeva, sollevandolo al di sopra dell’abisso. E questo perché ogni volta la dose non era mai quella giusta. Mai sufficiente!
Jeramiahl si svegliò nel suo giaciglio, con la testa poggiata sul comodo cuscino di piume. Una luce sconosciuta rischiarava le pareti della stanza. Era la luce del fuoco che ardeva allegramente nel camino di pietra. Jeramiahl si meravigliò di quella calda atmosfera che la sua stanza, per anni immersa nel gelo e nelle tenebre, non aveva mai conosciuto. Solo in quel momento il vecchio maestro si accorse della presenza del camino.
Un tempo si sarebbe seduto volentieri davanti ad un fuoco, magari sorseggiando del buon liquore, ma oggi non aveva più senso. I filtri di erbe e gli antidoti da lui provati lo avevano ormai reso insensibile alla temperatura. Non aveva bisogno di un camino. Non aveva bisogno di niente. Solamente un goccio di pozione dell’oblio…
Alcuni istanti dopo si accorse di non essere solo nella stanza. La sua mente riesumò, da un fitto velo di nebbia, i ricordi di quello che gli era accaduto prima di cadere nell’abisso. Il vento, la chiamata, l’uomo dalla voce melanconica.
Si accorse che quell’uomo era adesso accanto a lui. Più sorpreso che spaventato, Jeramiahl provò a muoversi, sporgendosi in direzione dello straniero. Nello stesso istante però intuì che le sue forze lo stavano nuovamente per abbandonare, e solo con un grande sforzo riuscì a mormorare qualcosa. Dalle sue corde vocali arrugginite provenne una debole domanda: «Chi sei?»
Ma non ottenne alcuna risposta. E nuovamente il sonno dominò la sua mente. “Meglio così!” fu il suo ultimo pensiero.


III

Era solo nella stanza quando si risvegliò. Il fuoco ardeva ancora, ma la sua luce era stata rubata dal sole appena sorto. Entrava prepotentemente dalla finestra, invadendo la stanza con i suoi colori. Un nuovo giorno.
Si sentiva molto meglio adesso. Lentamente provò ad alzarsi, e con passi meticolosi raggiunse la grande finestra al centro della parete, per ammirare la vista sulla valle. Era la valle dai mille cipressi, che come mille indici indicavano le stelle, celate di giorno dalla loro sorella gelosa.
«Buongiorno Maestro» disse una voce alle sue spalle.
Jeramiahl non si voltò. Il vetro davanti a lui rifletteva l’immagine dello straniero, fermo sulla porta d’ingresso. Sentì montare dentro di se tutta la sua rabbia e decise di non nasconderla.
«Perché?» mormorò. «Perché un uomo non può essere abbandonato all’oblio?» Jeramiahl si voltò di scatto e si trovò davanti all’uomo che era diventato la chiave del suo destino. Un comune boscaiolo.
«Ti ho già chiesto chi sei» proseguì il vecchio «ma non mi hai ancora risposto.»
«Il mio nome ha poca importanza» rispose lo straniero. «La mia stessa esistenza non ha valore. Io sono soltanto un uomo venuto a chiedere aiuto.»
«Non ricordo quanto tempo fa raggiunsi questo posto» riprese con fermezza Jeramiahl «ma so che sono passati molti anni, e nessuno era mai venuto fin qua a turbare la mia esistenza, ed interporsi tra me e la mia condanna. Cosa ti spinge a osare tanto?»
«Oso poiché non ho altra scelta» rispose semplicemente l’uomo.
Il silenzio scese improvvisamente tra i due, ed i secondi si susseguirono come lo scoccare delle note di una marcia funebre. Fu Jeramiahl a rompere il silenzio.
«Seguimi. Ti mostrerò qualcosa» e detto questo, uscì con passo deciso dalla stanza.


IV

Percorrendo un’insidiosa scala a chiocciola dagli scalini umidi e scivolosi, i due raggiunsero l’entrata del sotterraneo a cui si poteva accedere da una porta di legno scuro. Dietro di essa si celavano, nelle remote profondità della torre, i segreti di Jeramiahl, maestro dell’arte alchemica.
Le due ombre entrarono in una stretta caverna che andava snodandosi verso il basso, mentre la temperatura diventava, a mano a mano che i due scendevano, sempre più fredda. Il vecchio teneva alto il candelabro, e alla sua debole luce si intravedevano dei piccoli rivoli d’acqua piovana scorrere lungo le pareti, incidendo con il loro eterno lavoro la roccia stessa. La luce danzante delle candele provocava una serie di affascinanti giochi d’ombre.
Ad un tratto la caverna si allargò in un’ampia grotta. Un lungo tavolo di noce occupava il centro di quello che altro non poteva essere che il laboratorio dell’alchimista. Sulle pareti irregolari della stanza erano disposte grandi mensole di marmo, occupate da decine di libri. Ognuno di questi era custodito in uno speciale contenitore in vetro che lo proteggeva dall’umidità. Sopra il tavolo si trovavano le più svariate forme di alambicchi, serpentine di cristallo e numerosissimi altri oggetti di vetro. Molti dei contenitori erano pieni di sostanze sconosciute, polveri colorate e liquidi odorosi. Erano i segreti di Jeramiahl; le sue pozioni magiche.
Lo straniero contemplò quello spettacolo con un’espressione svanita, mentre accanto a lui il vecchio alchimista muoveva con grazia le sue mani sopra il tavolo, alla ricerca di qualcosa, forse uno dei suoi segreti. Poi con estrema attenzione sollevò dal ripiano un’ampolla contenente uno strano liquido blu.
«Stai a guardare, uomo!» disse Jeramiahl rivolto allo straniero.
«Guarda cosa vuole dire giocare a carte scoperte con il tuo amico destino, tu che invochi aiuto! Beh, io non ho potuto farlo.» E detto ciò, il vecchio Maestro fece scivolare, sul freddo pavimento di roccia, lo strano liquido che aveva in mano. Nella sua densità cadde sulla pietra quasi fondendosi con essa. Con un movimento regolare il liquido si dispose ai piedi delle due figure, una pozza scura priva di riflesso. Per un momento sembrò che non accadesse nulla, poi ad un tratto la superficie del liquido iniziò a tremolare, fino a dare forma a spettacolari immagini.
Erano immagini del passato, riportate alla luce da quell’oscura magia, e sembravano così reali e vicine che lo straniero, ammutolito dalla meraviglia, si ritrasse di un passo. Mostravano le avventure del giovane Jeramiahl, un uomo dal volto fiero e radiante. Insieme a lui vi era una ragazza dai capelli color miele e la faccia di fata. Condividevano momenti incantevoli in riva ad un lago, in una giornata di sole accecante.
Poi le immagini cambiarono. C’erano sempre i due giovani, ma questa volta combattevano insieme, uno accanto all’altra, sullo sfondo di lande dimenticate dal tempo. E poi di nuovo le immagini si dispersero e si riformarono, e si videro ancora i due che, a cavallo di due pegasi argentati, solcavano i cieli cercando di sfuggire ad un orda di orribili insetti giganti.
Jeramiahl era felice, e così lo era la sua compagna.
Ma poi le immagini cambiarono ancora e si fecero più grigie. La splendida ragazza dal volto di fata stava lentamente appassendo, e come se le ombre di una perversa entità avessero assalito il suo corpo, il velo dell’oblio senza ritorno si dipinse sul suo sguardo.
Mentre le immagini si facevano sempre più scure, si vide come, sul letto della fine, la fanciulla si spengeva tra le braccia di Jeramiahl. E con la sua morte, anche le immagini morirono. Al loro posto affiorò la nuda e fredda pietra della caverna.
Una voce si alzò a sentenziare ciò che l'incantesimo della pozza aveva mostrato.
«Non vi sono speranze. Quando il fato scopre le sue carte è troppo tardi per chiunque, ed allora non resta altro da fare che aspettare il nostro turno.»
Era la voce del vecchio, velata appena da un pianto represso. Il suo volto era una maschera di emozioni.
Trascorsero secondi ricolmi di tensione prima che, con grande coraggio, lo straniero parlasse.
«Sono giuste le vostre parole, Maestro. Ma se è vero che il fato ci è nascosto, la speranza rimane sempre nostra amica.»
Le parole percorsero il vuoto della stanza, mentre il vecchio alchimista teneva lo sguardo ancora fisso sulla pietra. Lo straniero, sperando che stesse ascoltando, riprese a parlare.
«È per questo che sono venuto a pregarla di aiutarmi. Mio figlio Celian è malato; ha la Dissolvenza. Sta attraversando le lande che presto lo condurranno dalla Regina delle Ombre. Tutti sanno che lei conosce i più grandi segreti alchemici. I suoi antidoti sono i soli che possono vincere la Dissolvenza. La scongiuro, mi aiuti!»
«Basta Uomo!» urlò Jeramiahl. «Tu hai portato nella mia dimora parole che per me non significano niente. lo ti ho mostrato. Tu, cosa puoi mostrarmi?»
«Posso mostrarti questo» disse allora lo straniero, estraendo dal proprio zaino un libro pergamenato e porgendolo al vecchio. Era un libro molto ben curato, con una copertina in cuoio e una rilegatura di buona fattura. Lo straniero continuò a parlare: «Ho regalato questo libro di pagine bianche a mio figlio perché a lui piace molto scrivere poesie e pensieri. Prima che il male lo colpisse ha composto questi versi.»
L’uomo mostrò al vecchio la prima pagina del libro, vergata da una semplice calligrafia. Jeramiahl, con le braccia conserte ed il volto impassibile, girò impercettibilmente lo sguardo per leggere.

INVERNO

Non dare colpa all’inverno
È una stagione come altre
Nel tempo fuggito e nell’odierno
Donò il desiderio di una coltre.


Del gelo è caro amico
E il vento è forte nei suoi giorni
Ma fidati se ti dico
Che son solo dei contorni.


Non è colpa dell’inverno
Se il sol non ti saluta
È solo il ciclo eterno
La grazia ricevuta.


Oh mia cara foglia
Soffiano le brezze
La landa è presto spoglia
A forza di carezze


Tu hai dichiarato
Lo scorrere impietoso
Del tempo già passato
Veloce e silenzioso


Addio foglia al vento
Ormai sei già lontano
E fin da ora sento
Quell’avanzare piano.


Di un anno già passato
Puntuale in questo giorno
Che tu hai suggellato
Portandoci l’inverno.

Con occhi bagnati da lacrime dimenticate, Jeramiahl prese tra le mani il libro che lo straniero gli aveva mostrato. La sua bocca rimase muta per alcuni minuti.
«Non è bella?» domandò l’uomo accanto a lui.
«È di più. È vera.» Fu la risposta del vecchio.
«Mi aiuterai allora a salvare mio figlio?»
Le parole fuoriuscirono da sole…
«Si, ti aiuterò.»
E mentre richiudeva il libro, Jeramiahl si accorse che si era appena aperta davanti a lui la strada di un nuovo corso. Il primo passo era stato fatto, ed il cancello era stato varcato. Poi avrebbe atteso i venti, sperando di incontrarne uno che lo avrebbe portato ancora una volta lontano, nelle lande dimenticate dal tempo. Lontano dalla sua prigione. Lontano dai suoi ricordi. Lontano, dove finalmente avrebbe potuto giocare con il destino ad armi pari.

GM Willo - 1996

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