sabato 13 febbraio 2010

LA SAGA DI UDRIEN: Lamia

lamia

Udrien mosse un passo dentro il sepolcro e capì in quell’istante che aveva appena commesso un errore. Ma l’orgoglio parlò e fece tacere il buon senso. O forse era la curiosità, quella spinta che ispira ogni vero uomo. La scoperta, il mistero, il segreto; queste sono le ragioni di una vita randagia, senza un domani, senza una casa che possa dirsi tale. Solo la strada davanti ai tuoi piedi, ed il vento, a volte impietoso e gelido, portatore di pioggia, altre volte così caldo da toglierti il respiro. Perché Udrien era figlio di Guman, il dio del vento appunto, e la sua prima legge era quella di non tornare mai indietro.
L’oscurità divenne qualcosa di denso e appiccicoso. Udrien non osò dipanarla, per paura che gli abitatori dell’antro si accorgessero della sua intrusione. Procedette adagio, attingendo informazioni dai sensi che molti uomini avevano perduto. Ma Udrien non era un uomo come gli altri.
Nel sepolcro era nascosto lo Scettro di Fride, un amuleto capace di piegare le leggi dell’universo. Ma Udrien non cercava conquiste più grandi della sua mente. Era lì per una scommessa di taverna, fatta in una serata goliardica insieme ai soliti avventori. Avrebbe recuperato lo scettro per dimostrare a quei balordi chi era Udrien, poi l’avrebbe distrutto, perché a lui non piacevano gli affari dei maghi, e gli oggetti troppo potenti diventavano automaticamente pericolosi.
La cripta si ergeva su una collina, a due ore di cammino dal villaggio più vicino. Da tempi immemori gli abitanti di quei luoghi raccontavano di una creatura malefica che si aggirava nell’ombra. I paesi contavano troppi vecchi e troppi pochi bambini. Vi erano bestie selvagge nella foresta, ma non facevano distinzione tra adulti ed infanti. La ragione delle molte sparizioni si nascondeva in quel sepolcro.
Udrien contava i passi, ricreava le distanze nella sua testa, annusava l’aria e ascoltava i rumori delle ombre. Gilda, la sua fedele spada, fremeva nella mano. Mentre il corridoio in cui era penetrato discendeva lentamente nelle viscere della collina, il fetore aumentava, un miasma di putrescenza antica, pregno di una contaminazione di magia nera. Qualcosa di morto ed eterno abitava quell’antro, un’entità che un semplice colpo di spada non sarebbe riuscito ad uccidere.
Percepì, oltre l’oscurità soffocante, l’allargamento della cavità. Il corridoio terminava in un’ampia stanza e l’odore di morte era diventato ancora più penetrante. Adesso aveva bisogno di chiedere aiuto ai suoi occhi, non poteva permettersi di attendere un secondo di più. La rapidità, in situazioni simili, era cruciale.
Ma un attimo prima di richiamare l’incantesimo di luce legato alla sua spada, un globo dorato si accese nel mezzo della stanza. Incastonata al centro di una grande pietra piana, che non poteva essere altro che una tomba, la sfera di luce rivelò alcuni misteri del sepolcro. Un’ampia stanza circolare a forma di cupola, completamente spoglia se non per il feretro adagiato nel mezzo e alcune pregiate suppellettili posate sul pavimento. E poi c’era lei, una bellezza aliena, sensuale come le principesse delle isole equatoriali, prosperosa come le comari che portano l’acqua ai villaggi, intensa come le amazzoni del nord e pericolosa come i draghi del grande deserto. Seduta sulla fredda pietra, vestita solo di monili che riuscivano a coprire a malapena le parti intime, guardava il guerriero curioso, il topolino con cui il gatto ama divertirsi prima del pasto.
Nonostante ogni centimetro del suo corpo lo avvertisse del pericolo che si celava dietro gli occhi di ghiaccio di quella creatura, Udrien si mosse verso di lei non come un guerriero ma come una preda desiderosa di venire divorata. Abbassò la lama, alzò il volto, sporse il petto in avanti. Lei rimase immobile, sorridente, pronta ad accoglierlo.
«Un guerriero senza paura che finalmente viene a soddisfare le mie voglie…» sussurrò la donna, allargando sensualmente le gambe. Il globo di luce nascondeva la promessa del piacere più grande.
Udrien, a un passo da lei, si arrese all’invito. Poggiò la lama sulla pietra del feretro e si chinò per baciare quella bocca carnosa. Sentì la fredda pelle di quella creatura che non poteva dirsi umana, ma non ci badò, rapito com’era dall’incantesimo del desiderio. La massa di muscoli ramati dell’uomo si adagiò sulle rotondità candide della donna, toccando, esplorando, cercando ed avvicinandosi alla congiunzione. Lei lo cinse con le gambe mentre lui entrava, inarcò la schiena mostrando i canini allungati, ma lui aveva gli occhi chiusi e non se ne avvide. Sentì invece il calore pervadergli il sesso, nonostante il gelido invito. Cercarono insieme il movimento, alternando i gemiti, dondolandosi insieme sull’altalena del piacere. Sempre più veloce, sempre più in alto, sempre più in profondità. La donna urlò artigliando la schiena del guerriero. Lui ignorò il dolore e continuò la sua scalata, ormai in prossimità della vetta. La creatura lo lasciò andare avanti, grata del dono ricevuto. Era pronta a concedere anche a lui il piacere supremo, prima di togliergli la vita.
Udrien sprofondò in un bagno di tenebra dolce. Aprì gli occhi e vide qualcosa muoversi nelle ombre che il globo di luce non riusciva a dipanare, i margini della stanza a forma di cupola. Bambini, alcuni appena neonati, dalle vesti lacere e dagli occhi infuocati, strisciavano verso di lui mostrando file di denti innaturalmente allungati.
«Venite miei piccoli. Venite a mangiare!» disse la donna, cercando poi la gola del guerriero. Udrien scattò in piedi come un felino. Cercò la spada, ma lei gliela scalciò via, e poi gli fu addosso.
Il guerriero non attinge forza solo dai suoi muscoli. Riuscire a richiamare e controllare il flusso adrenalinico può permettere ad un uomo di moltiplicare la sua potenza. La creatura era un vampiro, ormai il mistero era svelato, e Udrien non poteva permettersi di affrontare un essere del genere a mani nude. Sapeva di avere solo una possibilità. Afferrò la donna e la scaraventò dalla parte opposta della cupola. Poi, un attimo prima che la sua progenie dannata si avventasse su di lui, riuscì a recuperare Gilda, e a recidere la testa di un neonato dalle zanne di lupo.
La vampira, conscia di avere sprecato il vantaggio, divenne rabbiosa. Si lanciò addosso alla sua preda, certa che fosse ancora disarmata. Udrien alzò la punta della sua spada in traiettoria del cuore. Un secondo urlo, questa volta di dolore, si alzò dalla collina maledetta. La donna bellissima, che aveva cercato ed elargito piacere con l’arte di un’esperta meretrice, si dimenava adesso con una spada infilzata nel petto. Udrien sapeva che non sarebbe bastato ad ucciderla. Sfilò con maestria la lama dal corpo della donna, e con un colpo preciso le recise la testa, che rotolò sul pavimento con un rumore sordo. Allora il corpo del mostro cambiò improvvisamente colore. Da candido divenne scuro, la pelle raggrinzì rapidamente e un attimo dopo della donna non rimase che una manciata di cenere. La stessa fine toccò alla progenie di piccoli mostri, i bimbi rapiti ai villaggi vicini.
Dentro la tomba Udrien recuperò lo scettro, e la sera dopo, mostrandolo agli amici di taverna, si compiacque di aver vinto la scommessa. Bevve a spese dei suoi compagni, e a fine serata crollò sotto il tavolo completamente ubriaco.
Nella taverna c’era un mago di nome Vasilios che non perse mai d’occhio l’oggetto, e appena ne ebbe l’occasione lo afferrò dileguandosi poi nella notte. Ma di come Udrien riuscì a recuperarlo, in questa storia non viene detto.

GM Willo 2009

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